Cinema e Psicoterapia, gli psicoterapeuti nei film.
Sono sempre affascinata dai film americani in cui vi sono attori che impersonano “Terapists” ossia psicoterapeuti o psicoanalisti che con stili personali più o meno ortodossi riescono sempre a dare alla pellicola uno spaccato assolutamente affascinante.
I primi terapisti di cui ho memoria erano quelli dei film di Woody Allen, quella del film “Io e Annie” che dice:” Ecco, voi sembrate una coppia molto felice. Lo siete?
Sì.
Sì! E questo a cosa lo attribuite?
Bèh, io sono superficiale e vuota e non ho mai un’idea e niente di interessante da dire.
Io sono esattamente lo stesso!
Ah! Avete unito le vostre intelligenze!” Semplicemente brillante.
Quello radiofonico di “Radio Days” che dopo aver assistito ad un litigio della coppia,la stessa lo esorta a dire cosa ne pensasse ed egli dice: “ Penso che l’uno meriti l’altro”. Semplicemente illuminante. O quella di “Sex and the city” quando dice che l’unico modo per sapere se lui non tradirà più e lei possa fidarsi di lui è tornare a provarci!. Semplicemente provocatoria ed ottimista. E ancora la giovane e anche un po’ inesperta specializzanda che prende in terapia Adam il protagonista di “50 e 50” che ammalatosi di cancro, fa terapia senza motivazione ma poi è tra le poche persone che ricerca nei momenti più duri della sua chemioterapia. Semplicemente empatica.
Gli esempi potrebbero centinaia tutti toccanti, divertenti e sempre competenti ma rigorosamente ancorati ad un setting che prevedeva una stanza dove si riceve, un lettino, un tempo scandito da un timer, un dialogo frontale o laterale e dialoghi che si snodano in lenti e griglie tipiche dei vari approcci epistemologici e psicoterapeutici. Uno dei primi terapisti un po’ sui generis, che sugli schermi ho conosciuto, ma in grado di guarire con la sua forte emozione è quello di “Will Hunting genio ribelle” . Robin William faceva terapia con Matt Damon seduto su una panchina di un parco, uno affianco all’altro e talora non disdiceva raccontare anche piccoli particolari della sua vita privata. Ma nell’ultimo film che ho visto “Un giorno questo dolore ti sarà utile” tratto dall’omonimo libro di Peter Cameron c’è una nuovissima forma di setting…la seduta di psicoterapia fatta durante una corsa di jogging in Central Park. Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare che è un film, che non siamo americani e magari che non abbiamo Central Park. Ma l’accento che mi piacerebbe porre è di carattere diverso. Quanti di noi vivono la psicoterapia in modo libero, sincero e naturale come gli ultimi due protagonisti? Quanti accompagnerebbero il proprio psicoterapeuta in un viaggio o andrebbero a passeggiare? Quanti di noi credono ancora che la psicoterapia debba essere vissuta in quattro mura. Forse il setting protegge più gli psicoterapeuti che i pazienti.
Per quanto mi riguarda vivo l'analisi come parte integrante della mia vita… e la terapeuta ne è un attore importante. Non ho problemi a vivere questo rapporto al di fuori del "lettino terapeutico": in fondo la terapeuta è la persona che mi conosce meglio di chiunque altro… o meglio conosce i miei pensieri e le mie ansie… e nel viverla in una situazione che cambia i punti di vista, apre nuovi orizzonti di conoscenza, di se e dell'altro (vedi il prof. de "L'attimo Fuggente" in piedi su un banco di scuola x far cambiare prospettiva agli studenti). Ti apre la mente! La mia vita è permeata dall'analisi! Ed è un continuo evolversi.
Mi piace l'idea di cambiare "setting" anche per sentirmi più libera semmai di poter chiedere io all'altro qualcosa! in una relazione di stima che si è venuta a creare negli anni con il proprio psicologo penso venga spontaneo.
Se la mia terapeuta mi concedesse di accompagnarla in un viaggio (vorrebbe dire che ha abbattuto la sua protezione professionale per avvicinarsi a me) ne sarei orgogliosa e lo farei volentieri!
In effetti credo che soprattutto il terapeuta sia più salvaguardato in un setting "ortodosso": ma anche in questo caso sorge la domanda, quanti terapeuti parlano di loro e si relazionano scambievolmente coi pazienti e sarebbero disposti ad uscire dai loro canoni di status? Penso pochi e penso quelli con una marcia in più! Grazie!
Con il mio psicoterapeuta andrei ovunque,oggi forse dico questo,perché sto cominciando a capire la complessità della essere umano,e a non rimanere delusa,ciò nonostantesono del idea che lo studio,sia più un nido sicuro per il psicoterapeuta, che per il paziente,un caro abbraccio naty
Brillante! Innovativo e riflessivo…..e perchè non trasporre questo anche alla vita privata?! Perchè debbono esistere delle "regole" sociali di comportamento che siano coerenti tra professione e vita privata…? Se è chiaro, altrimenti…fatti vostri! 😀
noi italiani e ancora di piu' noi emiliani figli di questa terra dura e piena di contraddizioni (cerchiamo sempre la nostra liberta dentro a delle prigioni costruite da noi ), siamo arrivati alla psicoterapia 30 forse 40 anni dopo gli americani, e non solo non siamo pronti a fare psicoterapia all aperto o in altri posti ma non siamo pronti neanche a farla nel modo tradizionale , so che quello che diro' mi attirera' molte critiche ma lo dico lo stesso , io ho fatto 10 anni di analisi un percorso eccezzionale straordinario con una delle piu' brave terapeute che ci siano , perche' e' una brava persona e questo credetemi e' qualcosa di speciale di questi tempi , e a distanza di un anno da quando ho smesso dico che su circa 500 sedute avro accettato di farmi veramente analizzare si e' no il 10 per cento il resto sono tutte recite che ho fatto e che credo anche voi facciate dentro quella stanza ,altro che psicoterapia alternativa almeno prima impariamo a fare quella classica .
buone feste a tutti e grazie a daniela e pasquale e alla loro pazienza.
Ciao Massimo! Scusa ma io credo di condividere con te l'idea che, in effetti, in anni di analisi non tutte le sedute portino a dei frutti o siano di quelle sedute che ti porti dietro e scalfiscono il tuo io… Però non sono d'accordo sul fatto delle "recite" .. o meglio non per me.
Che senso ha recitare in analisi??? Poi se vuoi ci si gira intorno ai problemi, non si vogliono vedere … ma lì sono veramente io!!! con tutte le mie paturnie e le mie difficoltà! e se vuoi la nostra comune terapeuta certe cose me le ha dette 350mila volte… ma non recito!
E concordo anche sulla "pazienza" dei terapeuti!!!
un saluto!
Cara Paola dietro la parola recitare volevo dire che durante le sedute si interpreta nel bene e nel male un ruolo perché il terapeuta che hai davanti ,rappresenta a seconda del bisogno un amico un genitore un fratello un amante un dottore una guida spirituale ecc ecc e lo fa perché siamo noi che glielo chiediamo ,il più delle volte gli chiediamo di accogliere le nostre paturnie , pochissime volte gli permettiamo di essere lo specchio della nostra coscienza ,perché siccome penso che siamo quasi sempre noi la causa dei nostri mali , se il terapeuta ci mostrasse tutte le volte chi siamo veramente dicendoci sinceramente cosa pensa di noi ,scapperemo a gambe levate , proprio perché siamo così narcisi da non accettare critiche ,vogliamo essere perfetti e avere sempre qualcuno che ci dice che siamo bravi e belli mentre nella realtà siamo a volte buoni e a volte cattivi,gli americani nei film che ho visto durante le sedute sono molto più cattivi proprio perché più liberi da sensi di colpa , e piu abituati al ruolo del tearapeuta ,ovviamente parlo di me anche se scrivo al plurale perché per lavoro conosco molte persone e mi sembra di rivedere in quasi tutti le mie contraddizioni .