The hater: L’odio nelle parole

La visione, qualche tempo fa, del film “The hater”,  ha fatto emergere la necessità di parlare della violenza verbale diffusa sui social, parlando di come arginare questo pericoloso fenomeno. 

The Hater è un film che vede protagonista un giovane studente con grandi ambizioni, che per raggiungere i suoi obiettivi si fa strada attraverso la diffamazione sui social network di personaggi famosi, sottovalutando la gravità delle ripercussioni sulla vita reale. Il film esplora le derive manipolatorie che gli social media e Internet stanno sempre più incarnando nella società.

I leoni da tastiera sono presenti su tutte le piattaforme social, generalmente non prevedono le ricadute dei loro discorsi carichi di denigrazione, odio, disprezzo, scambiati molto spesso per atti di libertà, per diritto di parola. Ma tutto ciò uccide come la cronaca dimostra e le vittime sono spesso adolescenti ancora acerbi della loro capacità di elaborare e superare i profondi stress psicologici legati a questi atti e quando al contrario sia sempre disatteso il bisogno di sentirsi amati, visti e accolti per quello che si è.

La ricerca applicata nel 2020 sui “Proceeding of the 10th ACM Conference on Web Science”, condotta nell’ambito dei collegi statunitensi a messo in correlazione l’ aumento di discorsi d’odio online, con un incremento dello stress più o meno importante, in relazione alle capacità di reazione e alle fragilità psicologiche. Il periodo scolastico è sempre caratterizzato da competitività ed è carente di quei sentimenti di serenità importanti per dare il giusto valore ai discorsi di odio.

Uno studio del 2018 pubblicato su”Aggressive Behavior” ha evidenziato che l’esposizione ai discorsi di audio conduca a desensibilizzarsi rispetto agli stessi, aumentando i pregiudizi e il senso di distanza e della scarsa empatia con le vittime. Così come l’uso di un linguaggio denigratorio contro migranti ignoranza con la diffusione di atteggiamenti di intolleranza e radicalizzazione su posizioni ostili, fomentano pregiudizi e discriminazione.

Gli “Hate Speech” sono discorsi d’odio o di incitamento all’odio, tutte le lingue sono composte da un’enormità di parole tra cui insulti ingiuria e bestemmie parole atte a denigrare ferire umiliare definire gli altri ruoli e posizioni di inferiorità e mettere la controparte in posizione di dominanza. Ingenuamente si potrebbe pensare che il linguaggio denigratorio di audio sia appannaggio di una certa categoria di utenti invece svariati ricerche hanno documentato che invece sia un fenomeno più trasversali. Si tratta di utenti polarizzati e focalizzati su determinate posizioni rigide e circoscritte.sono radicati nelle proprie convinzioni e tendono a selezionare soltanto certe fonti di informazioni generalmente in attendibili, in appropriate, cariche di linguaggi offensivi e pregiudizievoli. Tutto ciò crea delle bolle di divisioni, fuori dei contesti sistemici, creando visioni e idee estremamente contrastanti e divise.

I linguaggi di odio definiscono una linea di demarcazione netta tra chi appartiene ad un gruppo e chi appartiene ad un altro gruppo, una differenza tra un “noi” e un “loro”. Etichettare in maniera pregiudizievole veicola sempre un messaggio negativo che sembra presupporre differenze intrinseche, biologiche, di origine, di differenze morali e culturali tutto ciò porta alla creazione di gerarchie sociali, etiche, fisiche e psicologiche. Queste gerarchie elitarie legittimano gli atti denigratori, le stigme sociali.

Il Costruzionismo Sociale ha evidenziato come il linguaggio crea la realtà,  ciò è assolutamente importante da considerare se vogliamo tracciare una linea di demarcazione tra linguaggi tossici e linguaggi virtuosi. Prevalentemente gli hate speech trovano contesti fertili nei discorsi religiosi, politici,  ideologici sottolineando così la difesa di interessi di parte. Un aspetto estremamente pericoloso è che creano proselitismo, modo questo per esprimere i propri sentimenti di disprezzo e le proprie funzioni aggressive.

Ingenuamente si è pensato che la diffusione dei sentimenti di ostilità fosse incrementata dalla rete, ma ha semplicemente contribuito ad una maggiore visibilità e viralità. Questo non basta sicuramente a spiegarli, è vero che protegge, attraverso i falsi profili, è vero che quando non abbiamo davanti l’interlocutore ci sentiamo più corazzati, più protetti, ma questo non basta. Molto spesso vittime di questi sentimenti denigratori sono le donne, le minoranze, individui con particolari caratteristiche fisiche.

Si stigmatizzano individui, gruppi, comportamenti, o affetti ma a differenza degli insulti che colpiscono l’individuo in particolare, questi linguaggi hanno la caratteristica di colpire un insieme, un sistema di individui, un gruppo sociale. A fare la differenza ci sono anche le intenzioni con cui si dicono certe parole così come anche il contesto e gli interlocutori. Ciò che magari non è offensivo per noi e il nostro contesto, lo può diventare per altri se decontestualizzato. Al contrario un termine di per sé offensivo, può essere impiegato in modo non offensivo dai diretti interessati, questa è una forma di riappropriazione culturale ed è un modo di desemantizzazione.

In altri casi ancora non siamo consapevoli di quanto alcune parole possono essere offensive, semplicemente perché non abbiamo una determinata caratteristica per cui venire insultati. Giudicare dall’esterno pertanto è sempre molto inappropriato. Un effetto poco considerato delle parole è l’accumulo, la ripetitività, lo stillicidio pertanto è un errore valutare la singolarità di una parola. E’ necessario considerare quanto di sotteso ci può essere che provoca ferite profonde nella persona con la gravante che non lasciando evidenti ferite, sono sempre difficili da essere colte.

Oltre gli aspetti legislativi che possono essere degli strumenti importanti e correttivi per contrastare l’hate speech e prevenire le conseguenze a volte drammatiche, è importante creare narrazioni differenti efficaci per contrastare i discorsi denigratori che veicolano violenza, questo perché i discorsi di odio costruiscono dei mondi narrativi a cui il gruppo si identifica perpetrando atteggiamenti stereotipati e discriminazioni. A tal proposito è importante contrapporre narrazioni di segno opposto che smontino la logica della separazione di “noi”e “loro” favorendo la convivenza delle differenze in un unico sistema. Importante creare un sistema di dialogo, un sistema di narrazioni alternative che connetta e che mette in relazione. 

Bibliografia:

Faloppa F. Gheno V. Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole, edizioni gruppo Abele, 2021

Faloppa F., Odio. Manuale di resistenza la violenza delle parole. Utet, 2020