La distimia (o disordine distimico) è una forma di disagio depressivo minore nel senso che comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e dell’attività lavorativa.

Si presenta con disturbi lievi ma con andamento cronico; solitamente (causa la relativa levità degli effetti). E’frequente che il malato non ne sia consapevole in quanto convinto che il disagio quotidiano sia parte integrante, da sempre, del suo carattere.

Generalmente il soggetto distimico riesce ad espletare le proprie funzioni lavorative e ad avere rapporti sociali, ma in modo nettamente diminuito e con uno sforzo notevole anche nelle cose più “normali” e di cui le persone con le quali si relaziona, spesso anche i familiari stessi, ben difficilmente si rendono conto. L’atteggiamento quasi perennemente cupo, triste e taciturno può facilmente causare stizza, se non rabbia, nel prossimo che lo considera solo un fastidioso pessimista che si crede assuma volontariamente codesto atteggiamento per cause che non vuole esprimere, ed infatti o non esistono o sono sopravvalutate negativamente, e questo il distimico lo sa, ma anche il chiedere aiuto è una di queste difficoltà che sente insormontabili. In questo modo si innesca un circolo vizioso che rafforza nel distimico la bassa autostima, l’insicurezza e l’autopercezione negativa accrescendo lo sconforto e l’introversione.

Questa categorizzazione tratta dal DSM IV è sicuramente quanto di più “soporifero” per un psicoterapeuta sistemico relazionale. La letteratura sistemica è sempre stata restia a trattare temi direttamente o indirettamente diagnostici e ancora di più ad inquadrare i disturbi nevrotici nonostante i sintomi spesso siano delle importanti metafore sul piano relazionale.

Da sempre spostare il focus sul piano delle relazioni è un’operazione che richiede coraggio ma anche delicatezza.

Nel distimico, dal punto di vista relazionale, le origini della famiglia si possono iscrivere in una situazione in cui vi è un buon funzionamento delle funzioni genitoriali e da una coniugalità disfunzionale caratterizzata dalla difficoltà della coppia genitoriale di risolvere i suoi conflitti. Un ragionevole interesse e coinvolgimento verso i figli da una parte, ed una conflittualità coniugale abbastanza intensa dall’altra, costituisce la cornice entro la quale la coniugalità disfunzionale altera, rovina la relazione con i figli.

Il modo attraverso cui la relazione con i figli (futuri distimici!) è rovinata è la “Triangolazione manipolatoria” (Minuchin 1974) il quale non è altro che il coinvolgimento dei figli nei giochi relazionali dei genitori. I genitori emettendo messaggi più o meno diretti  ai figli, sollecitano la loro alleanza nel gioco che li mette l’uno contro l’altro, offrendo in cambio una relazione privilegiata.

Per ciò che concerne il nutrimento emotivo ed affettivo del “figlio triangolato” non vi sono gravi conseguenze, perché questo è appunto garantito. Infatti i figli si sentono riconosciuti,  valorizzati ed amati in particolar modo dal genitore “alleato”, o da entrambi, se la triangolazione non è estremamente rigida.

Il figlio distimico-triangolato sperimenterà maggiori difficoltà in ambito delle funzioni socializzanti sia nel versante delle norme che in quello delle protezioni, infatti dal punto di vista relazionale l’ansia pervasiva accusata, può essere interpretata come come una risposta di fronte a situazioni conflittuali dove attrazione ed evitamento sono presenti in proporzioni variabili.

Nel depresso (depressione maggiore), sempre dal punto di vista relazionale, il contesto relazionale è caratterizzato da una coniugalità armoniosa ed una genitorialità disfunzionante. La coppia è molto affiatata, i figli trattati in modo inadeguato, talora disprezzati o svalutati e inoltre non sono “triangolati” in quanto non considerati “sufficientemente attraenti” per partecipare ai giochi, come invece accade per i distimici.

La genitorialità di un depresso si basa più su richieste e persino sullo sfruttamento che sulla valorizzazione di un ruolo riconosciuto al figlio. Spesso nelle descrizioni dei figli prevale un’aria narcisistica e le comunicazioni sono spesso cariche autosufficienza; sotto un’apparenza benevola che quasi mai trascura i bisogni materiali dei figli,  è celato un atteggiamento critico e di disprezzo. Sono “esseri perfetti” e i figli sono un vago passatempo finché rispondono alle proprie aspettative, ma si disinteressano appena mostrano difficoltà o carenze.

I “distimici” talora appaiono polemici ed affezionati alle discussioni, i “depressi” al contrario sono soggetti ipersocievoli con una grande abilità nel dare una buona impressione, nel risultare simpatici. Sono propensi all’accettazione delle norme e ad auto incolparsi se queste non funzionano. Si sentono sottoposti ad un eccesso di norme, ad una responsabilità esagerata che può rivestire diverse di genitorialità. Nei percorsi terapeutici s’incontra una feroce resistenza del “distimico” e del “depresso” e del suo entourage ad accettare la dimensione relazionale dei suoi sintomi, ostacolo che nasce dallo stesso complesso ipernormativo che esige un’osservanza assoluta della “rispettabilità delle apparenze”.

Un approccio sistemico mette in luce caratteristiche relazionali peculiari tipiche del paziente che si definisce “ depresso”:

–          Stabilisce una relazione di coppia stabile

–          Buon adattamento sociale, infatti mantenendo le abitudini sociali e culturali tra le quali il fidanzamento con annesse legalizzazioni (convivenze, matrimoni ed altri rituali)

–          E’ presente una certa immaturità relazionale (che per altri pazienti porta ad insuccessi relazionali) che  spinge a cercare un partner quasi in modo compulsivo, una iperconiugalità complessa imbevuta di dipendenza che porta ad una complementarietà rigida.

–          Ipersocialità che rende estremamente sensibili alle pressioni ambientali

–          I genitori del “depresso” attribuiscono ai loro figli la causa dei loro mali: se discutono è colpa loro ecc.

–          Disuguaglianza nella coppia che non è triangolante com’è per il “distimico” ma è affettivamente poco nutriente

–          Nutrizione affettiva scarsa, scarso riconoscimento, apprezzamento e valorizzazione e conseguente aspettativa che non apprezza lo sforzo bensì lo si considera sempre insufficiente

–          I fratelli dei “depressi” spesso ricevono un trattamento psico-affettivo differente per ragioni che possono dipendere dal ciclo vitale dei genitori, dal sesso o da fattori diversi che si intersecano nella vita

–          Eccesso di norme a livello cognitivo dove valori e credenze assunti rigidamente da tutti nascondono un culto per le apparenze, “ciò che è bene”,“ ciò che deve essere” che non ammette critiche o incrinature; i rituali esprimono a livello pragmatico quello che si evidenzia a livello cognitivo cioè una rigidità (codice non scritto di riunioni p.e. pranzi domenicali, visite prestabilite,ecc.)

–          Clima emotivo familiare “corretto” con cordialità nelle relazioni superficiali sebbene intrise di freddezza

–          Invischiamento apparente che non corrisponde alla situazione relazionale a livello più profonda specie nelle relazioni tra i sottosistemi (coppia genitoriale molto coesa rispetto a cui i figli si collocano ad una distanza considerevole

 

Sicuramente è diffusa l’idea che il “depresso” sia una persona oppressa dalla tristezza e dalla solitudine a cui è ridotta a causa della “malattia”. Se però spostiamo l’attenzione sullo stesso paziente in momenti di remissione della sintomatologia, noteremo una persona particolarmente preoccupata di rispondere alle aspettative degli altri. Da qui ne deriva che l’eccesso delle richieste e la rigidità delle norme presenti nella famiglia d’origine, crea quella situazione di ipersocialità sopra esposta.

In questi giorni dove ancora si vive profondamente la perdita di un genio, Steve Jobs, sento di poter paragonare la biologia al nostro hardware, quando mangiamo, quando respiriamo … ed anche quando pensiamo e sentiamo. Ma se la biologia è il nostro hardware il software corrisponde alle nostre relazioni che sono fondamentali per determinare gli stati d’animo.

Qualora la nutrizione relazionale (amore) fosse deficitaria, costituisce pattern patogeni che si collegano alla distimia e alla depressione.

Maturana afferma che siano animali amorosi, che l’amore è l’esperienza relazionale che definisce la condizione umana e che ci ammaliamo quando l’amore viene intralciato. Non dovrebbe essere difficile?!

Bibliografia:

J. L. Linares, C. Campo (2000) “Dietro le rispettabili apparenze

DSM IV

Maturana H. (1996) “Biologia del amor” Semanrio tenutosi nella Società catala de Terapia Familiar, Barcelona

Vella G. Loriedo C. (1990) “La prospettiva relazionale della depressione”